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AE ed i principi di diritto: l’apparenza del diritto vivente e frà Guglielmo da Baskerville.

Nell’ordinamento italiano il principio di diritto è l’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione su una o più norme, sostanziali o processuali, all’esito di un ricorso per Cassazione proposto da una delle parti di un giudizio di merito, ovvero del ricorso nell’interesse della legge proposto dal Procuratore Generale.

Il principio di diritto, quindi, costituisce l’essenza della funzione di nomofilachia esercitata dalla Suprema Corte, intesa come massima espressione del potere di interpretazione delle norme, resa nell’interesse della legge.

Il consuetudinario reiterarsi di una interpretazione giurisprudenziale realizza quello che è solito qualificarsi come diritto vivente, ossia la communis opinio maturata nella giurisprudenza in ordine al significato normativo da attribuire ad una determinata disposizione.

Da un paio d’anni, sul sito dell’AE, nella sezione dedicata alla pubblica diffusione delle risposte rese dall’amministrazione finanziaria in ossequio agli obblighi ad essa imposti dall’art.11 dello statuto del contribuente, è possibile imbattersi in una pagina intitolata appunto “principi di diritto”.

La pagina si associa ad altre pagine che raccolgono, sub specie di circolari o risoluzioni, gli esiti ad istanze di interpello o consulenza giuridica, che i cittadini contribuenti rivolgono all’AE.

Essa, come espressamente chiarisce il provvedimento direttoriale che l’ha istituita, raccoglie quanto reso dalle strutture centrali, garantendo la pubblicità dei soli “principi di diritto espressi nella risposta” omettendo qualsiasi riferimento anche alla fattispecie oggetto del quesito, quando la pubblicazione possa recare pregiudizio concreto ad un interesse pubblico o privato. Ciò, a tutela del mercato, della concorrenza, del diritto alla protezione dei dati personali, della proprietà intellettuale, del diritto d’autore e del segreto commerciale.

Trattasi di una attività che lo Statuto impone all’amministrazione, affinché il proprio operato non rimanga oscuro, così come chiarisce il provvedimento direttoriale del 7 agosto 2018 prot. 185630/2018, nel quale si precisa che tale potestà “si informa al principio di trasparenza dell’azione amministrativa ed è effettuata al fine di favorirne l’efficacia, l’imparzialità e la pubblicità, consentendo al contribuente la più ampia conoscenza di tutte le soluzioni interpretative adottate dell’Agenzia nell’ambito dell’istituto dell’interpello”.

Che ci azzecca, quindi il “principio di diritto”?

Qualificare in tal guisa le proprie, personalissime, interpretazioni di norme di nuova emanazione ovvero di controversa applicazione costituisce una fine attività di dissimulazione, finalizzata ad attribuire il sigillo della terzietà, per il tramite di un camouflage nominalistico, a soluzioni interpretative rese dalla parte pubblica che esercita il compito istituzionale di accertamento e riscossione dei tributi e che, per tale scopo istituzionale, di certo non si fa apprezzare per interpretazioni benevole a beneficio dei cittadini contribuenti.

Ed allora?  Stat rosa pristina nomine. Frate Guglielmo da Baskerville lo scoprì, dopo lunghe e perigliose indagini. 

Il principio di diritto, in quanto tale, non emana mai da una delle parti. La qualifica quindi non attribuisce valore “originario” al contenuto di una semplice soluzione interpretativa non trasfusa in un provvedimento giurisdizionale. 

Nessuna interpretazione assurge a principio di diritto, se non dopo un (lungo ed incerto) giudizio che lo abbia statuito.