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L’obbligazione tributaria: un tabù incompiuto.

La semiotica giuridica è quella scienza che studia il linguistico della norma, ossia analizza e riconosce quando un linguaggio (segno o representamen) assume valenza normativa. Il segno linguistico che coglie al meglio il tratto normativo è il verbo “dovere”, che caratterizza gli enunciati normativi che esprimono l’obbligo, la proibizione o il permesso di compiere determinate azioni.

Indiscutibilmente anche il diritto tributario si conforma diffusamente alla normatività deontica del linguaggio, in tal guisa esprimendo la prescrittività dell’obbligazione tributaria. Tuttavia, mi pare altrettanto interessante notare come in ambito tributario la relazione tra significante e significato sia, spesso, un processo che rinvia a qualcos’altro: aliquid stat pro aliquo (parafrasando Sant’Agostino).

In questo, istituti non marginali del diritto tributario, mi riferisco a quelle ipotesi di assolvimento non tempestivo dell’obbligazione tributaria ed alla disciplina che ne gestisce le modalità di recupero degli effetti (come il ravvedimento operoso oppure il cd. condono), sembrano rinviare ad un metatesto di matrice ascetico penitenziale.

Essi esprimono, nella loro semantica, tutta la carica di emotività liturgica che il legislatore si augura promani dal contribuente penitente nella sua pratica di espiazione, in forza del ritardato assolvimento di un obbligo necessitato, cui la norma correla una sanzione affievolita, ma assunta spontaneamente in assenza di constatazione. 

Insomma paghi in ritardo e ti cospargi il capo di cenere.

È innegabile, senza scomodare Hegel, che il senso di questa operazione di eticizzazione teologica di una obbligazione pecuniaria (speciale per quanto sia, questo è il contenuto della obbligazione tributaria), debba essere ricercato nella volontà di creare il tabù del mancato pagamento dei tributi. 

L’intento, non troppo dissimulato, consiste nell’alimentare una forte componente motivazionale inconscia che porti a considerare ineluttabilmente deprecabile il mancato assolvimento della obbligazione tributaria.

Orbene, lungi da me voler contestare il merito dell’obbligo di corrispondere le imposte, che è costituzionalmente statuito, pur rivendicando, per dovere professionale, il compito di difendere il cittadino contribuente in tutti i (frequenti) casi nei quali l’atto impositivo esuberi nelle forme e nei modi la capacità contributiva di ogni singolo cittadino.

Più interessante, invece, soffermarsi sulla efficacia di tale operazione semantica, o meglio socio semiologica. Perché, a dire il vero, malgrado questa torsione eticizzante, l’evasione fiscale pare non arrestarsi, così come inarrestabile ci appare il dilagare della spesa (effetto Covid a parte).

Forse, quindi, più che immaginare i contribuenti come primitivi devoti osservanti, sarebbe assai più civile riconsiderarli cittadini e, ripristinando il naturale equilibrio tra obbligatorietà del prelievo e continenza della spesa, de-eticizzare il precetto, stimolando la maturazione di una coscienza collettiva, e recuperare ex adverso il valore costituzionale della razionalizzazione dei costi di gestione della cosa pubblica, che è pur sempre causa e fondamento di un prelievo ormai insostenibile.

Photo by Aarón Blanco Tejedor on Unsplash