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Il valore fondamentale della giurisdizione specializzata di merito nell’attuazione della legislazione statutaria.

Nell’immaginare una riflessione sulla storia (parlamentare e, ex post, applicativa-giurisprudenziale) dello Statuto dei diritti del contribuente di cui quest’anno celebriamo il ventennale, mi è venuto spontaneo porre a raffronto lo Statuto dei diritti dei contribuenti con lo Statuto dei diritti dei lavoratori, introdotto nel con la legge 300 del 1970 dopo un lungo lavoro sotto la guida del ministri Brodolini (socialista, prematuramente scomparso) e Donat Cattin (democristiano) ma soprattutto sotto la guida di Gino Giugni incaricato di dirigere la commissione per l’elaborazione del testo dello statuto.

Questo palinsesto normativo ha fornito la cornice definitoria ad un rapporto conflittuale tra una parte debole (la parte della manodopera lavorativa) nei riguardi della parte forte (la parte datoriale) in un tempo ormai dimenticato di grossi conflitti sociali, affermando e disciplinando il diritto di organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva.

Questa norma, che ancora oggi a distanza di cinquant’anni viene riconosciuta come fondamentale nel quadro normativo nazionale e che, come accade per il nostro statuto dei diritti dei contribuenti, esprime, in una norma ordinaria, principi e regole di stampo costituzionale (Titolo I “Della libertà e della dignità del lavoratore” e Titolo II “Della libertà sindacale”), ha avuto il privilegio di essere seguita, dopo soli tre anni dalla sua entrata in vigore, della nuova legge sul processo del lavoro.

La legge n. 533 del 1973 ha istituito il ruolo del giudice di merito specializzato nella materia e ha introdotto nel processo una serie di principi e di regole processuali che hanno consentito al giudice di operare in modo rapido ed efficace. E i giudici, grazie al nuovo processo del lavoro, si sono sentiti investiti di un ruolo di supplenza e hanno saputo svolgere tale impegnativo ruolo con entusiasmo e carica creativa. Paolo Grossi afferma, tra l’altro, che in coincidenza con l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori e del nuovo processo del lavoro “una generazione nuova di giudici si sentì investita di una missione garantistica”.

Il compito del nuovo giudice era (ed è attualmente, atteso che la norma è rimasta, in parte qua, immutata) quello di trovare una linea di confine fra comportamenti antisindacali, e come tali illegittimi, e comportamenti datoriali dialetticamente contrapposti al sindacato ma pienamente legittimi in quanto meramente antagonistici e quindi ricompresi nella corretta dialettica fra parti contrapposte. Una linea di confine che può essere trovata soltanto attraverso la corretta applicazione dei princìpi dell’ordinamento, ed in particolare dei principi costituzionali.

In questo, e con tutte le complessità e le degenerazioni che gli esperti lavoristi possono far rilevare dopo il trascorso di mezzo secolo, è innegabile che il giudice del lavoro abbia sussunto nel esercizio della propria giurisdizione il principio costituzionale della terzietà, oltre che della professionalità e della competenza specialistica.

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Cosa è accaduto per effetto dell’introduzione dello Statuto dei diritti del contribuente?

E’ innegabile che la resa delle novità introdotte dallo Statuto (dal nostro Statuto) è stata di diverso rilievo ed incidenza, a seconda che si abbia agio di osservare i diversi attori del rapporto in cui la legge si è inserita ed ha operato, ossia “l’amministrazione, la giurisprudenza, il legislatore, il Garante, i contribuenti”.

L’Amministrazione Finanziaria.

E’ innegabile che lo Statuto abbia accompagnato, tra la fine degli anni 90 ed i primi anni 2000, una rilevante opera di modernizzazione della Amministrazione finanziaria, che va riconosciuta ed apprezzata. In questo periodo nasce il fisco telematico, la dichiarazione unica, le compensazioni, le rateazioni, si realizza un sistema di comunicazione con i contribuenti che rende più trasparente la liquidazione delle dichiarazioni, si potenzia l’attività di informazione con l’utilizzo avanzato di Internet e delle nuove tecnologie; si introduce con circolare l’interpello, si vara l’autotutela, si generalizza il ravvedimento, si porta a regime l’accertamento con adesione, si regola con Direttiva del Ministro lo svolgimento delle verifiche, si riforma e si umanizza la disciplina delle sanzioni, si creano le Agenzie.  

Tutte realtà che oggi appaiono scontate ma che non lo erano affatto, prima della loro introduzione. Sotto questo specifico profilo, è necessario e doveroso riconoscere che il ruolo del contribuente si è instradato in un percorso di maturazione da suddito a cittadino.

Certo, dovremmo in realtà attualizzare tale giudizio e chiederci se la PA dei tempi d’oggi è rimasta all’altezza di questa modernizzazione; così come andrebbe indagato se questa modernizzazione non sia stata più funzionale alle necessità dell’Ufficio che indotta dal rispetto dei principi statutari.

La Giurisdizione tributaria.

Eguale e condivisibile il plauso nei riguardi della Suprema Corte, che tutti anche oggi hanno riconosciuto aver avuto il merito di enucleare ed attribuire valore e rango sovraordinato all’insieme dei principi in esso statuiti. Certo, la fragilità dell’impianto normativo è evidente: il mancato riconoscimento formale del rango costituzionale derivante dalla mancata inclusione nel sistema delle fonti fa della legge 212 una norma tanto evocata quanto derogata e violata nella propria essenza garantista.

Va peraltro rammentata la coincidenza temporale con la nascita della sezione tributaria della Suprema Corte, la cui attività è iniziata il 1° novembre 1999.

E’ altrettanto vero, e con ciò ritorno al parallelismo di partenza, che la resa del Giudice dei tributi, nell’ottica della attuazione statutaria, si presenta non paragonabile a quanto fatto dai buoni vecchi Pretori del Lavoro.

Questo assunto è il frutto di una comune percezione (credo oggi anche condivisa con l’Agenzia) di inadeguatezza (dell’istituto, non già dei soggetti che oggi sono chiamati con dedizione a rivestirne il ruolo). Lo dicono i numeri, oltre che la comune esperienza personale delle parti in causa, e ne soffre soprattutto la Suprema Corte, se è vero come è vero che la pendenza dei giudizi nelle due sezioni specializzate (la Sezione lavoro e la Sezione tributaria) è numericamente sbilanciata a danno della sezione tributaria (dati del 2017, sul 100% dei giudizi, il 37, 05% è stato iscritto in sezione tributaria, addirittura l’17,6% in sezione lavoro, comprensivi del previdenziale).

La Corte è stata chiamata ad uno sforzo di supplenza straordinario che si riflette sul suo quotidiano funzionamento e rischia di comprometterne la funzionalità, come pubblicamente richiamato sin dalla presidenza Carbone.

Ma al di là della dimensione numerica della pendenza, quello che credo vada stigmatizzato, è la circostanza che la onorarietà dell’impiego, e quindi la temporaneità dell’impegno reso dai giudici prestati all’Ufficio delle Commissioni Tributarie, non è più compatibile con l’approccio consapevole e responsabile nella definizione di controversie assai tecniche.

Perché, come ci insegna lo Statuto dei diritti del contribuente, la composizione del conflitto tributario involge sempre il riconoscimento della dignità, prima ancora che della soggettività giuridica del cittadino contribuente nei confronti dello strapotere dello Stato impositore. Alla luce di questo faro, non si giustifica più la sommarizzazione dei giudicati, la svalutazione della motivazione dell’atto, la continua inversione dell’onere della prova.

Il Legislatore.

Ciò anche perché veramente a poco sembra valere l’autoqualificazione, con la quale esordisce l’art. 1, comma 1, (“Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario…”) indubbiamente espressione della volontà di orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario, quando tali intenzioni sono sistematicamente tradite dallo stesso legislatore che, legge su legge, deroga esplicitamente ai contenuti dello Statuto.  

E qualcuno, a Berlino, prima o poi dovrà riconoscere che il sistematico reiterarsi di interpretazioni autentiche (tutte a beneficio della parte pubblica) è vero e proprio abuso del diritto.

Si è parlato di codificazione. In una intervista al Sole il prof. Gianni Marongiu, padre nobile dello Statuto ha affermato: “Eliminare lo Statuto vorrebbe dire scrivere un Codice tributario, ma è uno sforzo sproporzionato alla forza dell’attuale Parlamento”. Tutti noi ci auguriamo di essere smentiti.

Il Garante.

Anche la figura del Garante sconta un gap di adeguatezza funzionale. Così, difettano all’autorevolezza dell’organo i poteri tipici delle authorities: il potere di assumere decisioni vincolanti, e di comminare sanzioni in caso di inosservanza delle stesse; il potere di disporre ispezioni e controlli penetranti sull’operato delle Amministrazioni finanziarie soggette a verifica; il potere di emettere pareri, assente se non nella limitata prospettiva di attribuire funzione consultiva alle Relazioni che il Garante presenta periodicamente al Ministero delle Finanze. Chi ricorda quei tempi sa che il Garante nacque come ripiego tra chi avrebbe voluto introdurre una Autorità Autonoma e il ministero che si oppose.

L’istituto forse potrebbe manifestare una rinnovata rilevanza ove venisse dato corso all’esperienza tutta siciliana del Tavolo della Compliance. Certo, il ventennio trascorso e la rinnovata fiducia nell’istituto delle autorità amministrative indipendenti, per l’elevata funzione di controllo indipendente che hanno assicurato, lascia pensare che, ove rispettata la adeguata dotazione di strumenti, questa opzione oggi potrebbe trovare quell’ascolto a suo tempo denegato.

Contribuenti e professionisti.

In conclusione, una parola va data ai contribuenti ed anche ai professionisti che li rappresentano. Ovviamente parlo dei contribuenti consapevoli dei propri obblighi di contribuzione nei riguardi dello Stato, non degli evasori.

Ebbene, non è dato sapere quanto la percezione dello statuto sia entrata nella coscienza collettiva. Personalmente dubito che si tratti di una percentuale rilevante. Molti hanno tratto benefici dal miglioramento del rapporto tributario in via del tutto inconsapevole.

Lo Statuto è basato, lo abbiamo visto, su alcune parole d’ordine fondamentali, e una tra queste è la trasparenza. La prima forma di trasparenza riguarda gli effetti economici delle leggi. Sapere quanto incide sulle loro tasche una legge come quella di stabilità è un preciso diritto dei cittadini. Una seconda forma di trasparenza, ancora più rilevante, riguarda l’ammontare complessivo della tassazione gravante sui cittadini. E’ forse abbastanza agevole verificare qual è la pressione fiscale erariale, ma è assai più difficoltoso determinare qual è la pressione, anche molto diversa nel territorio, che grava in modo complessivo sul cittadino.

E’ passata sotto silenzio la pubblicazione dell’International Tax Competitiveness Index realizzato dal Centro studi Epicenter che pone il sistema fiscale italiano all’ultimo posto tra i paesi aderenti all’OCSE per elevatezza delle aliquote marginali, per la compresenza asfissiante di imposte sul patrimonio, sulle transazioni finanziarie e sugli immobili; e per la farraginosità del sistema degli adempimenti correlati all’esecuzione dell’obbligazione tributaria.

Forse è giunto il momento, magari partendo dai dati acquisisti in seno alle dichiarazioni precompilate ovvero all’ISEE, di creare un indice che misuri e dia un valore, non solo statistico, alla pressione fiscale cui il singolo soggetto è sottoposto, affinché, ove questo indice esuberi limiti normativamente prefigurati di elevatezza e sopportabilità, il cittadino possa ottenerne la riduzione per via giudiziale.

Quanto ai professionisti, e mi riferisco agli avvocati, mi sia permesso di ricordare che quest’anno oltre ad essere il ventennale dello Statuto, è anche il ventennale di UNCAT, che prese vita proprio nel dicembre del 2000, nella splendida cornice del Tribunale di Napoli, alla presenza e sotto la cura dell’accademia.

Il contributo fattivo all’odierno evento dell’avvocatura specialistica organizzata ci rassicura sulla convinzione che questo ventennio non sia trascorso invano.