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Marebonus Tirrenia-Cin, una ordinaria vicenda di mala gestio all’italiana.

Le aspettative di centinaia di aziende di autotrasporto che hanno confidato sul ribaltamento dei contributi Marebonus per le annualità 2019 e 2020 sono a rischio a causa delle note vicende societarie che riguardano la società di armamento Tirrenia Cin.

Gli imprenditori dell’autotrasporto, che, imbarcando i semirimorchi, hanno investito nell’intermodalità e nel benessere dell’ambiente, dirottando sulle vie d’acqua il proprio traffico merci su gomma, si trovano oggi a fronteggiare il serissimo pericolo di veder sfumate le legittime aspettative di portare a compensazione od a sconto i costi sui tragitti già effettuati.

La struttura normativa dell’agevolazione risponde a strette direttive della Commissione europea, che ha posto paletti rigorosi per la concessione dell’autorizzazione al rilascio di agevolazioni che si pongono in potenziale conflitto con la normativa comunitaria che contrasta gli aiuti di stato.

L’adozione del programma agevolativo, concretizzato in Italia con il comma 647 dell’art.1 della legge di bilancio per il 2016 (legge 208/2015), trova legittimazione nella decisione C(2016)8459 del 19 dicembre 2016, con la quale la Commissione Europea ha autorizzato l’aiuto di stato SA.44628.

Il rigido recinto del vincolo comunitario presuppone il rispetto di condizioni soggettive assai stringenti in capo alle società armatrici che godono dell’agevolazione e che ne devono ribaltare gli effetti in capo agli utilizzatori finali. Tra queste, il decreto 13 settembre 2017 n. 176 emanato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze espressamente prevede, all’art. 5 comma 2 lettera d), che le società armatrici beneficiarie non siano “…sottoposte a procedure concorsuali quali il fallimento, o l’amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa o a liquidazione, scioglimento della societa’, o concordato preventivo senza continuita’ aziendale o di piano di ristrutturazione dei debiti…”.

Ad oggi lo status societario di Tirrenia spa, oggi Cin, sembra proprio non garantire la piena legittimità del godimento dell’aiuto concesso.

E tuttavia.

Il soggetto gestore previsto dall’art 3 del regolamento, la Ram spa, ha effettuato con tempestività l’esecuzione dei monitoraggi e dei controlli di cui all’art.16? Ha verificato senza indugio la persistenza dei requisiti? E, in caso di assenza degli stessi, costituendo ciò causa di revoca, ha avviato con pubblica evidenza le procedure per la declaratoria di decadenza dal contributo nonché l’eventuale recupero dello stesso, ove illegittimamente attribuito, secondo quanto disposto dall’articolo 17 del regolamento?

Ed ancora.

Tirrenia-Cin ha informato con tempestività le imprese clienti di non trovarsi più nel possesso delle condizioni di legge per il godimento del contributo? Ha informato le imprese clienti della circostanza (ove mai realizzatasi) che la società di gestione avesse avviato la procedura di revoca? Insomma, della circostanza che i trasporti da costoro effettuati non avrebbero potuto godere del ribaltamento del contributo?

Ed i commissari giudiziali, oggi impegnatissimi nell’attività di diffida ai fini del recupero delle fatture a suo tempo emesse e per prassi gestionale compensate con le quote di contributo ribaltato sui servizi di trasporto 2018-2020, hanno mai avvisato le imprese clienti che il contributo da costoro invocato ed atteso non sarebbe stato mai ribaltato e mai compensato, in tal guisa consentendo che la società armatrice da loro amministrata godesse di un traffico merci (e quindi di ricavi) che diversamente non avrebbe mai potuto e dovuto capitalizzare?

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Per conto di una cordata di autotrasportatori, costituitisi in gruppo di pressione, abbiamo avviato una richiesta formale a Ram spa ed agli Enti regolatori per conoscere lo stato delle procedure adottate rispetto ai provvedimenti concessori.

Contestualmente stiamo avviando azioni di rivalsa nei riguardi di Tirrenia-Cin per tutelare chi ha confidato, senza colpa, sulla concessione di benefici che allo stato degli atti si palesano di assai improbabile realizzazione.

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La ricognizione del debito tributario nella esecuzione collettiva

Come è noto, nel quadro della gerarchia delle fonti, la legge speciale deroga la legge generale, foss’anche quest’ultima sia stata emanata successivamente alla prima.

La Cassazione, in una vecchia sentenza del 2006, per definire il rapporto tra norma generale e norma speciale utilizza una raffigurazione plastica: “È necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, in modo tale che quello più ampio contenga in sé quello minore ed abbia un settore residuo destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità”.

Il principio di specialità tuttavia non appare risolutivo laddove il concorso occorra tra norme speciali, ossia tra discipline antinomiche, ma pari ordinate. Diritto tributario e diritto concorsuale sono entrambe normative “speciali”. Il diritto tributario, poi, a differenza del diritto concorsuale, che ricade comunque nell’alveo della giurisdizione ordinaria, seppur speciale, gode anche di propria giurisdizione esclusiva.

In questo caso, potrebbe immaginarsi una rappresentazione figurativa per cerchi parzialmente sovrapposti, nei quali, la cointeressenza si materializzi solo in ambiti limitati. Entrambe le normative prevalgono nei propri ambiti di competenza esclusiva, ma sono correlativamente costrette a retrocedere, necessitando entrambe di ricondurre alla corretta ermeneutica degli istituti secondo la legge speciale che li disciplina, nelle molteplici occasioni di reciproco contatto.

L’approfondimento sugli effetti di questa correlazione gode di ampio studio ed approfondimento, oltre ad un ampio spettro di applicazione giurisprudenziale.

Utile per una visione d’insieme, una pubblicazione dell’Osservatorio Permanente della Giustizia Tributaria del 2017, e segnatamente del dott. De Matteis giudice della sezione fallimentare presso il Tribunale di Napoli e Giudice tributario, che offre un quadro ricostruttivo molto dettagliato. La problematica è quanto mai attuale in tema di transazione fiscale: nella stessa rivista il contributo di Angelo Cuva, che offre una visione ante litteram ed evolutiva del principio di indisponibilità della pretesa tributaria, oggi tanto attuale nella regolazione di questo istituto, tutt’ora ancora in divenire. Tutte queste ricostruzioni appuntano la loro attenzione agli effetti regolatori del diritto tributario successivamente al deposito in cancelleria della dichiarazione di fallimento.

Credo invece valga la pena approfondire un profilo inedito, che nasce dalla necessità di affrontare come professionisti una nuova occorrenza professionale, nascente dalla prassi operata per adesso presso solo alcuni dei Tribunali italiani (Catania, Bergamo, Piacenza, ma anche Milano e Napoli) di anticipare gli effetti dell’art.38 del nuovo codice della crisi d’impresa, a tenore del quale

“Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza”,

orientando in modo fortemente estensivo il portato delle norme oggi vigenti, ossia l’art.7 della vigente LF che così recita:

“Iniziativa del pubblico ministero. Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6: 1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore; 2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”.

Non è rilevante al nostro discorso approfondire la legittimità di questa prassi interpretativa, tutta di derivazione giurisprudenziale, che qui volutamente si tralascia, anche perché le motivazioni dichiarate, tutte aventi giustificazione nella “salvaguardia di sistema”, di natura quindi teleologica, sono poco digeribili, per chi come noi difensori è solito analizzare la fattispecie concreta hic et nunc, nel suo concreto manifestarsi.

Più interessante invece approfondire le problematiche nascenti dall’osservazione dei casi, e sono la quasi totalità, in cui il PM agisce per la declaratoria dell’insolvenza attestata dalla sussistenza di un debito di imposta (e/o contributivo) esorbitante i limiti oggi in vigore per la fallibilità (dimensionali ex art.1 LF e quantitativi di scaduto ex art 5 L.F.).

In questo caso il PM agisce in supplenza del legittimo creditore Ente pubblico (Agenzia delle Entrate, Agente della Riscossione, INPS) dal quale, previa redazione di appositi protocolli d’intesa, acquisisce periodiche informative attestanti lo stato del carico debitorio numericamente più rilevante in capo a soggetti giuridici per i quali maturi il profilo soggettivo di fallibilità e, ove asseritamente sussistenti i vincoli di legge, avvii appunto l’azione presentando istanza di fallimento ed aprendo la istruttoria prefallimentare.

Ci si trova quindi a fronteggiare ambiti nuovi di difesa, nella quale l’imprenditore sottoponibile al fallimento, è impegnato a fornire la prova della sussistenza (o meno) del debito d’imposta, ovvero della sua procedibilità, innanzi ad un giudice che non è il giudice naturale precostituito per legge.

Il Giudice fallimentare infatti ha cognizione esclusiva nel proprio ambito di competenza; assume piena cognizione del debito quale indizio della avvenuta realizzazione dello stato di decozione. Esso tuttavia è privo di giurisdizione in punto di determinazione dell’an e del quantum del tributo.

Ecco spiegato il titolo di questa relazione, nella quale volutamente ho utilizzato il termine RICOGNIZIONE e non già il termine ACCERTAMENTO. Al Giudice concorsuale, essendo preclusa la cognizione tipica, è consentita la mera ricognizione del debito per imposte. Parlo di ricognizione nel senso lessicale di riconoscimento, secondo i canoni di disciplina disposti dalla legge tributaria.

Nell’ambito quindi della propria cognizione esclusiva, che nella fase prefallimentare è finalizzata alla individuazione dei presupposti di fallibilità, il Giudice concorsuale è vincolato ad effettuare una attenta ricognizione del debito tributario, che tenga cura ed osservanza della norma tributaria che ne regola il presupposto e la esecutività.

Tale necessità si impone con particolare urgenza laddove la pretesa creditoria per tributi, cui si vuol far discendere l’accertamento dello stato di insolvenza, non viene processata dal creditore ab intestato, ossia dall’Agente della Riscossione in rappresentanza dell’Ente Erariale che ha accertato la pretesa, ai sensi e per gli effetti dell’art 87 del DPR 602/73, bensì dall’Ufficio della Procura della Repubblica, nell’esercizio di una funzione di supplenza, cui però, con tutta evidenza, potrebbe non accedere il necessario tecnicismo in una normativa così mutevole ed, appunto, estremamente tecnica.

Proviamo quindi a fornire un minimo di casistica, avvisando che, trattandosi di ipotesi ancora limitate nell’alveo di una mera interpretazione non radicata su tutto il territorio nazione, esse appaiono solo esemplificative delle notevoli problematicità che, sono assolutamente certo, verranno a manifestarsi.

  1. Il debito tributario è portato da atti tipici, che seguono un procedimento amministrativo complesso, che deve essere compiuto, formalizzato ed opponibile al contribuente, che ha diritto ad esercitare l’opzione dell’impugnativa. Solo all’esito compiuto di questo percorso, il debito può considerarsi maturato e, ove impagato, eseguibile anche ai fini della maturazione dell’insolvenza.
  2. L’esecuzione collettiva non può essere l’occasione di un accertamento del debito d’imposta; questo perché al Giudice fallimentare (che è giudice ordinario) è preclusa l’attività di accertamento giudiziale del tributo, riservata, come è noto alla giurisdizione speciale delle Commissioni Tributarie.
  3. Tantomeno l’innesco della procedura concorsuale non può consentire l’accertamento di omissioni di imposta non precedute dall’attività accertativa resa amministrativamente dal soggetto giuridico ad essa deputata che è l’Agenzia delle Entrate. E ciò anche se tale omissione si sia manifestata agli esiti di indagini cui il PM abbi avuto accesso autonomo, laddove tali indagini non si siano ancora trasfuse nella emanazione di atti tipici del procedimento di accertamento, imposta per imposta.
  4. Non può determinare il fallimento di un soggetto giuridico in tutte le situazioni nelle quali il debito sia legittimamente sospeso in applicazione di una norma procedimentale amministrativa tributaria. Parlo di tutte quelle ipotesi nella quali la normativa tributaria stabilisce che un proprio atto di accertamento sia sospeso nella esecutività. Quindi sospensione amministrativa; sospensione per effetto di provvedimento di rateazione (della quale non sia stata effettuata la declaratoria di decadenza). Sotto questo profilo segnalo una ipotesi che mi è personalmente occorsa laddove il Tribunale di Catania ha disposto la reiezione dell’istanza di fallimento per “non attualità” del debito (di ingentissima entità) stante la pendenza della sospensione Covid19 (T/Catania decreto 3.12.2020).
  5. Quanto ai ruoli, diverse le problematiche immaginabili.
    • Le certificazioni del carico dei debiti comunicate da Agenzia, Inps e Agente della riscossione spesso si sovrappongono: avvisi di accertamento impoesattivi e avvisi di addebito INPS spesso sono esposti sia dall’Ente emittente che dall’Agente della riscossione e quindi necessita che il Giudice dell’istruttoria fallimentare abbia la capacità di riconoscerne la duplicazione.
    • Laddove poi il debito tributario fosse portato da ruoli assai risalenti nel tempo, potrebbe legittimamente obiettarsi la violazione dell’art 50 dpr 602/73 che come normativamente previsto, inibisce all’Agente della Riscossione l’avvio della esecuzione individuale a mezzo ruolo laddove la cartella di pagamento, notificata da oltre un anno, non venga preceduta dalla notifica di una intimazione di pagamento nel termine di cinque giorni. Cass. SS.UU 34447/2019 (in conformità al disposto della Corte Cost. n.114/2018 che ha sancito la illegittimità dell’art 57 comma 1 lett a) DPR 602/73 ed ha individuato nella notifica della cartella il discrimine tra il riparto di giurisdizione tra i vizi ante e post notifica del titolo) ha sancito che l’eccezione di prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella è di competenza del Tribunale fallimentare in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva. Problematica tuttavia mi pare la gestione di tale cognizione in capo al Giudice dell’istruttoria fallimentare, stante le particolari esigenze di sommarietà che caratterizzano tale fase prodromica alla declaratoria dell’insolvenza.
    • Uguale necessità si offre rispetto alla procedura di cui alla Legge 228/2012, rispetto alla quale le pronunzie di merito sono pochissime. Ma anche in questo caso si pone il problema della corretta ricognizione del debito, laddove l’Ente creditore ometta la prescritta comunicazione nei termini di legge, cui segue l’annullamento di diritto delle partite ed il discarico automatico delle medesime e dei relativi ruoli.
  6. Diversamente segnalo Cass.28192/2020 sez.I^ per un utilizzo assolutamente non condivisibile della cd teoria dichiarativa dell’accertamento tributario. Assume la Corte (sezione non tributaria) che l’avviso di accertamento avrebbe funzione meramente ricognitiva del debito tributario che si assume preesistere appunto all’accertamento, a prescindere dalla trasmissione del carico fiscale al concessionario. La sentenza non consente una chiara ricognizione della tipologia di atto impositivo, limitandosi a parlare di avviso di accertamento, “conosciuto solo a seguito di interrogazione disposta dal Tribunale di Milano” e “non ancora passato al concessionario per la riscossione”.
  7. Ovviamente non può assumersi come debito la semplice notifica del cd avviso bonario. La vicenda è affrontata nell’ipotesi di ammissione al passivo del credito portato da avviso bonario non ancora tramutatosi in ruolo successivamente alla dichiarazione di fallimento, e risolta positivamente da Cass SS.UU 4126/2012, e precedentemente Cass. SS. UU.5165/2009. Orbene, a parte che rispetto a questo orientamento giurisprudenziale non v’è già unanimità di vedute (vedesi l’opinione contraria di Del Federico (in Rass. Tributaria n. 1/2015 CEDAM), concreto è il rischio di una deriva interpretativa che estenda anche alla fase prefallimentare l’ingresso di una pretesa non formalizzata in un titolo esecutivo tipizzato dalla norma tributaria, come nel caso precedentemente riassunto.

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E’ indiscutibile che, come è già desumibile da quest’ultimo arresto giurisprudenziale, come l’avvio a regime del codice della crisi di impresa imporrà una accelerazione di prassi oggi isolate, cui necessiterà approcciarsi con l’ausilio di nuova consapevolezza da parte di tutti gli attori in gioco.

Quanto al Giudice fallimentare, si imporrà un approccio consapevole del tecnicismo tributario, cui sarà necessario avvicinarsi con la consapevolezza che gli istituti del diritto tributario sono tipizzati e che al fine della corretta individuazione del carico scaduto sarà necessario e responsabile che le norme fiscali vengano testualmente interpretate.

Quanto al difensore, di certo all’avvocato specializzato in diritto tributario si offrono nuovi ambiti di valorizzazione della propria specificità professionale, sia nei riguardi dell’impresa, mediante un accorta attività anticipatoria nell’avvio delle tutele tipiche, al fine di preparare l’imprenditore ad affrontare con consapevolezza l’impatto con l’istruttoria fallimentare, ma anche nei riguardi del Giudice, cui potrà offrire il sostegno della propria specialità professionale al fine di approcciarsi con consapevolezza nei riguardi di una materia e di istituti che non gli sono consueti (a meno che non pratichi già la Commissione Tributaria).

Quanto all’imprenditore, affinché comprenda che non è più possibile approcciarsi ai propri obblighi tributari con leggerezza e che l’omissione del versamento delle imposte non è più un canale di autofinanziamento praticabile, oltre ad essere ovviamente un dovere nei riguardi della collettività.